I Pitti

Tratto dall’Introduzione

Chi erano i Pitti?

Erano i feroci guerrieri con la pelle ricoperta di tatuaggi blu che terrorizzavano i soldati Romani? Oppure, erano i pigmei miserabili e straccioni descritti dagli storici norvegesi del XII secolo? O ancora, si trattava di qualcuno di quei folletti demoniaci che vivevano nel sottosuolo delle isole più remote del Nord, che infestavano le superstizioni – di feroci pirati come i Vikinghi – che persino al culmine del loro potere non osavano sbarcare su quelle isole sapendole abitate da essi?

La realtà è forse più normale di quanto si pensi, ma altrettanto affascinante. Noi non conosciamo con quale nome essi designassero se stessi come popolo, poiché quasi nulla è rimasto di scritto da parte loro, se non le poche incisioni ogamiche rinvenute sulle famose pietre erette, indicanti perlopiù nomi di singoli personaggi, tribù o gesta di famosi guerrieri.

Il nomignolo di “pictus” (nel plurale “picti”), dal latino “dipinto”, fu ad essi assegnato dai soldati Romani di guarnigione all’estremo Nord della Britannia Major: la regione di Alba o Caledonia, come veniva chiamata dai Romani l’attuale Scozia. E tale soprannome ebbe presto un tale successo nell’immaginario collettivo, che divenne il “nome proprio” di un intero popolo: i Pitti.

Il volto dei Pitti è noto a oggi, così come essi stessi si vollero tramandare nelle numerose incisioni rupestri e nelle stele funerarie.

I Pitti avevano un viso duro, talvolta malevolo nell’espressione, che emanava però un senso di forza e di determinazione. Immagini che forse non sono riferite a singoli individui, ma a divinità del loro proprio Pantheon perduto: distinzioni queste che, purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze non ci è dato di sapere.

L’inizio nel primo secolo d.C. in Scozia, può essere caratterizzato come un periodo protostorico. Le informazioni che abbiamo di questo periodo, non sono scritte ma puramente archeologiche. Gli unici testi che si riferiscono alla storia della Scozia tra il primo secolo avanti Cristo e quelli successivi sono in lingua latina e redatti dagli occupanti Romani, per i quali i Pitti erano poco più che fastidiosi briganti.

Purtroppo noi, di quel periodo storico, possiamo conoscere solo un’unica versione, né avremo mai (salvo nuove inattese scoperte archeologiche) la possibilità di sentire la voce dei diretti interessati. Dal punto di vista storico, infatti, tutto ciò che è connesso ai Pitti delle origini, ci giunge sotto forma di commentari, scritti proprio dagli stessi occupanti Romani, mentre solo i reperti archeologicici permettono di ampliare in modo oggettivo le conoscenze su quel periodo. Bisogna pur sempre tener presente che gli oggetti archeologici non portano, come i prodotti moderni, un marchio di provenienza e si deve quindi risalire alla loro origine mediante studi di forma, di stile e di metodi di realizzazione tecnica, analisi chimiche, circa la scelta e l’impiego dei materiali e dei luoghi di ritrovamento. Ben poco però di questi reperti può essere connesso con la lingua dei Pitti.

Infine, pochissime altre iscrizioni originali pictish, ci sono giunte sotto forma di intagli e di incisioni, ritrovate su oggetti della vita quotidiana, associate con varie forme primitive di Ogam, l’alfabeto celtico usato anche dai Pitti.

Tali oggetti d’uso pratico, essendo piccoli, facilmente trasportabili, usurabili e spesso fragili o realizzati in materiale altamente deperibile, non sono giunti a noi, né in gran numero, né tantomeno in buone condizioni.

Anche per quanto riguarda le abitazioni, spesso realizzate e decorate in legno e pelli, molti reperti ad esse collegate, possono essere andati distrutti per cause naturali di decomposizione e corrosione, ma anche perché venivano realizzati con materiali più fragili della pietra e del ferro, anche perché distrutti o danneggiati da saccheggi o da cataclismi naturali come alluvioni e incendi.

Una fonte alternativa, a tale scopo, ci può pervenire dalla toponomastica: i nomi dei luoghi più antichi sono spesso collegati, tramite la radice fonetica, alla lingua che li ha generati. Gli specialisti possono così trarre utili e interessanti deduzioni dallo studio degli antichi nomi di luoghi, fiumi e villaggi.

L’analisi dei nomi di luoghi ci offre una colorita panoramica delle varie lingue che si sono parlate nel Nord della Gran Bretagna, non solo con la creazione di nomi nuovi, ma anche tramite la deformazione di nomi preesistenti. Tutte queste difficoltà fanno sì che, per quanto in modo talvolta approssimativo, sia comunque possibile ricostruire a grandi linee l’evoluzione storica del Nord della Scozia nel primo millennio dopo Cristo.

Si scoprono così, tracce consistenti della cruenta storia dei regni Pitti, che riuscirono – nonostante le sconfitte – a mantenersi indipendenti dalle legioni romane per giungere poi nell’arco di cinque secoli a fondersi con gli Scoti nel regno di Scozia, perdendo definitivamente l’indipendenza solo sotto il dominio degli inglesi.

Permane, tuttavia, un ampio margine di incertezza sui singoli particolari che costituiscono l’arazzo della Storia.

Ed è proprio su questa incertezza sul come e sul perché, che si svolgono ormai da oltre un secolo accanite discussioni tra vari storici che hanno affrontato la storia della civiltà Pictish.